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Vedianche - Notiziario della Sezione Ligure dell'Associazione Italiana Biblioteche
Numero 2 Vol. 23 Anno 2013 ISSN 2281-0617

La bozza di norma UNI sulle competenze dei bibliotecari. Memo su alcune criticità

Laura Testoni

Chi è un bibliotecario? Cosa deve saper fare?
L'Ente nazionale di Unificazione (UNI) che in Italia elabora le norme tecniche in tutti i settori industriali, commerciali e del terziario ha predisposto nel 2013 una bozza di norma sulla figura professionale del bibliotecario [1] dal titolo: "Qualificazione delle professioni per il trattamento di dati e documenti - Figura professionale del bibliotecario - Requisiti di conoscenza, abilità e competenza". Il documento pubblicato in rete non è (ancora) una norma UNI, ma un progetto di norma, sottoposto alla fase di inchiesta pubblica e aperto alla formulazione di commenti, che chiunque può inviare, sino al 20 gennaio 2014, attraverso il sito web dell'UNI.

Obiettivo di questo breve contributo è illustrare la struttura della bozza di norma, facendo emergere, nell'ottica costruttiva e propositiva incoraggiata dall'AIB [2], alcune criticità e possibili sviluppi, incoraggiando così bibliotecari e stakeholders a commentarla e a proporre modifiche.

Nello specifico ci si sofferma sulla parte di norma che descrive abilità e competenze relative alla gestione delle collezioni, mettendo in relazione quanto codificato con la realtà ormai consolidata delle biblioteche digitali.

Perché la norma UNI è importante. Genesi e contesto
La legge 4/2013: "Disposizioni in materia di professioni non organizzate", riconosce l'esistenza di attività economiche volte alla prestazione di servizi, che vengono realizzate prevalentemente mediante lavoro intellettuale da professionisti. Le attività che la norma tende a disciplinare, sono le cosiddette "professioni non ordinistiche" il cui esercizio non richiede l'iscrizione in Albi professionali di natura civilistica.
A questi profili professionali "non organizzati" la legge riconosce la possibilità di auto-organizzarsi in associazioni di carattere privatistico, i cui statuti prevedano l'osservanza dei principi deontologici, nonché una struttura organizzativa e tecnico-scientifica adeguata, che garantisca, ad esempio, la formazione permanente degli associati.
Ma l'aspetto più significativo della legge 4/2013 è che essa promuove, a prescindere dall'adesione alle associazioni professionali (che non è obbligatoria ma, a parere di chi scrive, auspicabile), l'autoregolamentazione volontaria di queste professioni, che si realizza attraverso la qualificazione delle attività caratterizzanti: queste attività si basano sulla conformità a norme tecniche elaborate dall'UNI.
E infatti la legge dichiara che "i requisiti, le competenze, le modalità di esercizio delle attività individuate dalla normativa tecnica UNI costituiscono principi e criteri generali che disciplinano l'esercizio autoregolamentato della singola attività professionale".
Si comprende come la norma UNI rappresenti un fattore centrale per la codifica dell'attività professionale: sulla base di questo modello è auspicabile che vengano esaminati i curricula e redatti bandi per l'aggiudicazione di servizi bibliotecari; la norma UNI sarà utilizzata per misurare gli skill di chi, dentro e fuori le biblioteche [3], vorrà proporre sé stesso come un professionista bibliotecario. Sarebbe molto positivo se le università traessero spunto dalla norma per adeguare e aggiornare i loro percorsi formativi, in modo da laureare specialisti con skill effettivamente spendibili nel mercato del lavoro, che - ricordiamo - è un mercato su scala perlomeno europea.
Un altro aspetto che va tenuto in considerazione prima di accostarsi alla bozza di norma UNI sulla professione del bibliotecario, è che essa fa rifermento all'EQF (European Qualifications Framework, Quadro europeo delle qualifiche) [4], un modello codificato dall'Unione europea nel 2008 per mettere a regime, e quindi rendere equiparabili, trasparenti e trasferibili, nel quadro della libera circolazione dei lavoratori e dei servizi, i profili professionali dei diversi Paesi europei. In questo quadro [5] la "qualifica" è il risultato formale di un processo di valutazione e di convalida ottenuto quando un'autorità competente stabilisce che un individuo possiede gli acquis che corrispondono ad una determinata norma. Questi acquis si strutturano in competenze e abilità e conoscenze. Le conoscenze (teoriche e/o pratiche) sono un insieme di fatti, principi, teorie e pratiche relative ad un settore di lavoro o di studio; le abilità (di tipo cognitivo e/o pratico) indicano le capacità di applicare conoscenze e di utilizzare know-how per portare a termine compiti e risolvere problemi; le competenze riguardano la comprovata capacità di utilizzare, in modo responsabile e autonomo, conoscenze, abilità e capacità.
Come si vede la "qualifica" non deriva necessariamente o soltanto da un percorso didattico formale, ma da un mix teorico / pratico orientato al problem solving, all'autonomia e alla responsabilità nell'applicare le conoscenze acquisite. Questo modello, piuttosto denso, aiuta a capire la struttura del documento UNI, che ricalca questo modello in modo del tutto esplicito.

Le competenze del bibliotecario secondo la bozza di norma UNI. Un esame critico
Il documento prende in esame in prima battuta i compiti fondamentali e le correlate attività del bibliotecario, e in seconda battuta le competenze, abilità e conoscenze associate all'attività professionale.

Ad ogni "compito fondamentale" corrispondono differenti "attività".
I compiti fondamentali sono quattro, che non trascriviamo in questo articolo ma sintetizziamo di seguito
1) Gestione delle collezioni (acquisizione, inventariazione, catalogazione e conservazione)
2) Erogazione dei servizi (e qui rientra l'accesso, la consultazione, il prestito, la riproduzione, la promozione della biblioteca, l'attuazione di programmi di alfabetizzazione informativa e promozione culturale)
3) Analisi delle esigenze informative dell'utenza di riferimento
4) Attività scientifica di studio e di ricerca in ambito biblioteconomico

A questi quattro "compiti fondamentali" corrispondono, come si è detto, alcune attività e per la precisione 9 attività, che sono (siamo sintetici e quindi non copiamo letteralmente il testo):
1) progettazione e sviluppo delle collezioni; 2) trattamento fisico dei documenti; 3) descrizione e indicizzazione; 4) conservazione e tutela delle collezioni; 5) acquisizione di strutture e sistemi informativi; 6) servizi all'utenza e promozione della biblioteca; 7) progettazione valutazione e gestione dei servizi; 8) gestione delle risorse umane e del patrimonio; 9) studio e ricerca scientifica.

Le attività da 1 a 5 sono da riferire al compito 1; l'attività 6 al compito 2, le attività 7 e 8 al compito 3 e l'attività 9 al compito 4. Il primo problema evidente salta all'occhio, ma lo rappresentiamo in modo plastico con questo grafico:

grafico

tabella


In concreto il "Compito fondamentale" relativo alla gestione delle collezioni "impegna" un numero di attività, cioè 5, notevolmente significativo, che è superiore alla somma di tutte le attività che derivano dagli altri compiti fondamentali. C'è uno squilibrio evidente, che meriterebbe un'analisi a parte, tra le attività connesse alla "gestione delle collezioni" e quelle relative agli altri "compiti fondamentali".
Rispetto ai "Servizi all'utenza" e all' "Analisi delle esigenze informative" le attività andrebbero probabilmente ampliate, anche prendendo in esame le molteplici literacy che il contesto informativo in cui siamo immersi richiede. Ma non è questo il tema del presente contributo.

Entriamo invece nel merito di questo "compito fondamentale" definito dalla gestione delle collezioni e delle attività che esso impegna.

Quale gestione delle collezioni digitali?
La bozza di norma contiene, al punto 3.1.6 una definizione piuttosto ampia di collezione, che sembrerebbe prendere in considerazione perlomeno una prospettiva di biblioteca ibrida: "[...] Le collezioni possono presentarsi in forma cartacea, elettronica o tramite qualsiasi altro supporto fisico idoneo alla conservazione, consultazione e diffusione dei loro contenuti".
Date queste premesse ci si aspetterebbe che la norma ponesse un accento forte su tutte le attività complesse di digital curation e digital preservation che sono alla base dell'architettura e della gestione di una biblioteca digitale [6].
Invece la definizione del "compito fondamentale" legato alla gestione delle collezioni e le attività collegate non mantengono la promessa di complessità proposta dalla definizione, ma sembrano alludere piuttosto alla gestione di una collezione cartacea, in cui il digitale è una variabile tra le tante. Gli stessi sistemi informativi indicati nell'attività A.5 alludono più ad "attrezzature" e "strumenti" che alla gestione di un flusso documentale immateriale.
L'impressione che se ne ricava è che, mentre le offerte di lavoro in ambito europeo richiedono competenze molto specifiche tipiche del digital librarian [7] (che non tutte le università italiane sono in grado di fornire come output curriculare ai loro laureati) la norma UNI mantiene ancora un calco culturale proprio della biblioteca cartacea, con qualche concessione, a parere di chi scrive più nominale che sostanziale, al digitale.
Manca, ad esempio, un riferimento a tutti quegli oggetti digitali che non sono "attrezzature" e nemmeno "collezioni", ma costituiscono l'ossatura della biblioteca digitale: link resolver, discovery tool, repository: non dimentichiamo che, ad esempio, l'implementazione del discovery tool o il lavoro di back office che un link resolver richiede sono modalità potenti di "gestione delle collezioni".
Manca anche, in questa declinazione delle collezioni, la consapevolezza che, fatte salve le risorse che provengono dalla sottoscrizione di cluster di ebook e periodici elettronici, indispensabili per qualunque biblioteca accademica, le collezioni non solo si "acquisiscono", e si "mettono a disposizione del pubblico di una biblioteca" (punto 3.16) ma esistono a prescindere dalla biblioteca, il cui compito è farle emergere, incorporarle ai propri sistemi informativi, utilizzarle in modo consapevole: Google books (con i suoi noti limiti [8]), Internet Archive, Project Gutemberg, gli sterminati archivi aperti del movimento Open access, gli stessi Open data di fonte pubblica che stanno emergendo in modo dirompente (e su cui convergono progetti europei di rilievo [9]) sono anch'essi "collezioni" e fonte di attività professionale per i bibliotecari.
Se si assume questa prospettiva, il tipo di abilità individuata dalla norma UNI al punto A1 "individuare i livelli di copertura delle collezioni rispetto alla produzione editoriale" appare piuttosto problematica e lontana dall'attualità documentale contemporanea.

Che fare
A parere di scrive quello che non funziona in questa parte di norma UNI è una concezione troppo indifferenziata, e alla fine "ecumenica" e non specifica del concetto di collezione, che infine risulta appiattito sulle collezioni cartacee. Potrebbe essere utile allora, da un lato alleggerire il "compito fondamentale" 1 relativo alla gestione delle collezioni, e dall'altro introdurre un "compito fondamentale" che declini con maggiore concisione ed esattezza competenze abilità e attitudini del digital librarian.
Naturalmente il problema non è redazionale, ma è culturale.
Sono personalmente certa che la comunità bibliotecaria italiana (penso ad esempio alla Commissione nazionale biblioteche delle università e della ricerca operante in seno all'AIB) possa operare in questo senso.

NOTE

[1] Codice progetto: U30000730 http://www.uni.com/index.php? option=com_wrapper&view=wrapper&Itemid=900
[2] Cfr. http://www.aib.it/attivita/2013/39576-norma-uni-figura-bibliotecario/
[3] Siamo convinti che i bibliotecari debbano e possano esercitare la loro attività professionale anche fuori dalle biblioteche: negli uffici studi, nei laboratori, nei gruppi di studio; ci riferiamo precisamente al paradigma dell'embedded librarian, il bibliotecario "incorporato" nelle istituzioni di ricerca, nelle aziende, nei think thank.
[4] Cfr.: http://europa.eu/legislation_summaries/education_training_youth/vocational_training/ c11104_it.htm
[5] I concetti di qualifica, competenza abilità e conoscenza tratteggiati in questo paragrafo sono il cuore delle EQF e sono codificati nell'allegato 1 della Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 aprile 2008 (2008/C 111/01) sulla costituzione del quadro europeo delle qualifiche per l'apprendimento permanente [Gazzetta ufficiale C 111 del 6.5.2008]
[6] Il digital curator, Maria Cassella, in: "Biblioteche oggi", luglio-agosto 2013, pp. 3-10
[7] L'electronic resources librarian fra competenze vecchie, nuove e future, Paola Gargiulo in: Aib studi, doi 10.2426/aibstudi-8876, vol. 53 n. 1 (gennaio/aprile 2013). Andrebbe citato tutto il dossier pubblicato in questo numero di AIB studi dedicato a "Le professioni per le biblioteche accademiche di ricerca", con contributi di Maria Cassella, Paola Gargiulo, Pierfranco Minsenti , Maddalena Morando, Ellis Sada, Liliana Gregori, Paolo Sirito
[8] La bancarella planetaria e la biblioteca digitale: il punto di vista della ricerca e una possibile agenda per l'Italia. Alberto Petrucciani In: Digitalia Anno V, Numero 1 - 2010 pp. 9-31 http://digitalia.sbn.it/article/view/252
[9] Si segnala tra le diverse iniziative l'apertura nel dicembre 2012 del portale Open-data.europa.eu che, raccoglie, indicizza ed espone in formato aperto i dati generati dalle diverse istituzioni dell'Unione europea. Il portale si inserisce nel quadro dell'Agenda digitale europea. Mentre scriviamo (novembre 2013) sono accessibili dal potale più di 6.000 dataset.

NB Le posizioni espresse dall'Autore sono personali e non impegnano l'Associazione italiana biblioteche