di Gabriela Pinna
Si è tenuto a Firenze il 13 e il 14 dicembre 2012 il primo Convegno dell’Associazione per l’informatica umanistica e cultura digitale. Ho avuto modo di seguire il convegno per la giornata del 13 dicembre e, dopo averne ascoltato i contenuti, mi sono chiesta se la professione del bibliotecario dovesse porsi nella direzione del librarian o in quella del digital librarian.
La comunità dell’informatica umanistica e della culturadigitale è strettamente connessa con il mondo delle biblioteche, aspetto che è stato messo in evidenza sin dall’intervento introduttivo del Prof. Dino Buzzetti dell’Università di Bologna, il quale ha spiegato che il ruolo dell’Informatica umanistica è fondamentale per conservare la conoscenza e tramandarla per mezzo delle semantic digital libraries.
L’argomento successivamente è stato approfondito dal Prof. Giovanni Ragone del Digilab (Centro interdipartimentale di ricerca e servizio) della Sapienza di Roma, che prefigura per le biblioteche una mission di supporto ai dipartimenti e alla ricerca con attività di fund-raising, con la creazione di una grande e unica biblioteca digitale e con il publishing digitale, mostrando quanto sia importante che l’Università converga nel digitale.
Nel successivo intervento il Dott. Gianmaria Silvello, parlando per conto della Prof. ssa Mariastella Agosti, non presente purtroppo al convegno, ha approfondito il discorso sulle digital libraries, illustrando come esse dovrebbero essere strutturate e come possano venire in aiuto della comunità scientifica effettuando una valutazione di qualità degli articoli scientifici.
Successivamente Joris van Zundert del Huygens Institute for the History of The Netherlands ha mostrato in streaming le attività del suo laboratorio e come si svolgono i processi di digitalizzazione dei Beni culturali che ne favoriscono la conservazione.
Di seguito Henk Harmsen dei laboratori DARIAH dell’Università di Amsterdam illustra come la loro missione sia quella di valorizzare e sostenere la ricerca digitale attraverso le scienze umane e le arti, ribadendo l’importanza della connessione del mondo digitale con la ricerca e le Università.
Non poteva mancare l’esposizione del progetto Europeana, che è stato ampiamente descritto dal Dott. Meghini del CNR di Pisa: si tratta di una biblioteca digitale europea che, insieme a Gallica, riunisce contributi su vari supporti, già digitalizzati da diverse istituzioni appartenenti ai 27 paesi membri dell’Unione Europea.
Per concludere gli interventi della mattinata, in streaming in Prof. Andrew Ashton del Center for Digital Scholarship della Brown University, Providence, RI, ci ha illustrato il repository della Brown University.
Il progetto DARIAH ci fa constatare il livello avanzato degli altri paesi e costituisce un esempio di valorizzazione del patrimonio culturale al quale anche l’Italia può guardare.
Nel pomeriggio sono ripresi gli interventi dopo alcune premesse del Prof. Tito Orlandi del CISADU dell’Università della Sapienza.
Considerevole l’intervento di Frédéric Clavert del Centre Virtuel sur la Connaissance de l’Europe del Lussemburgo, un centro di ricerca interdisciplinare per la documentazione digitale: Clavert ci ha mostrato le loro piattaforme e infrastrutture per la certificazione e l’accreditamento, avendo come fine ultimo la conservazione della conoscenza per interpretare al meglio il futuro.
Gli ultimi due interventi della giornata hanno avuto come relatori Giovanni Solimine e Chiara Fagiolini dell’Università di Roma La Sapienza e Gianluca Setti dell’Università di Ferrara. ed entrambi hanno riguardato la bibliometria.
Solimine e Fagiolini hanno sottolineato come le biblioteche siano fondamentali e di aiuto per valutare la bibliometria e come esse debbano essere poste al centro del supporto alla ricerca; Setti ha parlato dei vari sistemi di misurazione della bibliometria e di come essa può interagire sugli articoli di rivisite internazionali e non, sull’impact factor e quindi nel mondo della ricerca.
I vari argomenti toccati sfociano tutti nel mio quesito da bibliotecaria, che è lo spirito con cui ho seguito questo convegno: un giovane che si affaccia a questa professione si dirigerà verso il lavoro del librarian o verso quello del digital librarian? A mio avviso è importante che il bibliotecario esca dalla coltre di libri nella quale spesso è sommerso e che arricchisca la propria formazione. Per fare questo sarà necessaria la collaborazione con altre figure professionali del mondo della conoscenza e del digitale che lo faranno evolvere verso le nuove prospettive e possibilità offerte dalla tecnologia.
di Gabriela Pinna
Si è tenuto a Firenze il 13 e il 14 dicembre 2012 il primo Convegno dell’Associazione per l’informatica umanistica e cultura digitale. Ho avuto modo di seguire il convegno per la giornata del 13 dicembre e, dopo averne ascoltato i contenuti, mi sono chiesta se la professione del bibliotecario dovesse porsi nella direzione del librarian o in quella del digital librarian.
La comunità dell’informatica umanistica e della culturadigitale è strettamente connessa con il mondo delle biblioteche, aspetto che è stato messo in evidenza sin dall’intervento introduttivo del Prof. Dino Buzzetti dell’Università di Bologna, il quale ha spiegato che il ruolo dell’Informatica umanistica è fondamentale per conservare la conoscenza e tramandarla per mezzo delle semantic digital libraries.
L’argomento successivamente è stato approfondito dal Prof. Giovanni Ragone del Digilab (Centro interdipartimentale di ricerca e servizio) della Sapienza di Roma, che prefigura per le biblioteche una mission di supporto ai dipartimenti e alla ricerca con attività di fund-raising, con la creazione di una grande e unica biblioteca digitale e con il publishing digitale, mostrando quanto sia importante che l’Università converga nel digitale.
Nel successivo intervento il Dott. Gianmaria Silvello, parlando per conto della Prof. ssa Mariastella Agosti, non presente purtroppo al convegno, ha approfondito il discorso sulle digital libraries, illustrando come esse dovrebbero essere strutturate e come possano venire in aiuto della comunità scientifica effettuando una valutazione di qualità degli articoli scientifici.
Successivamente Joris van Zundert del Huygens Institute for the History of The Netherlands ha mostrato in streaming le attività del suo laboratorio e come si svolgono i processi di digitalizzazione dei Beni culturali che ne favoriscono la conservazione.
Di seguito Henk Harmsen dei laboratori DARIAH dell’Università di Amsterdam illustra come la loro missione sia quella di valorizzare e sostenere la ricerca digitale attraverso le scienze umane e le arti, ribadendo l’importanza della connessione del mondo digitale con la ricerca e le Università.
Non poteva mancare l’esposizione del progetto Europeana, che è stato ampiamente descritto dal Dott. Meghini del CNR di Pisa: si tratta di una biblioteca digitale europea che, insieme a Gallica, riunisce contributi su vari supporti, già digitalizzati da diverse istituzioni appartenenti ai 27 paesi membri dell’Unione Europea.
Per concludere gli interventi della mattinata, in streaming in Prof. Andrew Ashton del Center for Digital Scholarship della Brown University, Providence, RI, ci ha illustrato il repository della Brown University.
Il progetto DARIAH ci fa constatare il livello avanzato degli altri paesi e costituisce un esempio di valorizzazione del patrimonio culturale al quale anche l’Italia può guardare.
Nel pomeriggio sono ripresi gli interventi dopo alcune premesse del Prof. Tito Orlandi del CISADU dell’Università della Sapienza.
Considerevole l’intervento di Frédéric Clavert del Centre Virtuel sur la Connaissance de l’Europe del Lussemburgo, un centro di ricerca interdisciplinare per la documentazione digitale: Clavert ci ha mostrato le loro piattaforme e infrastrutture per la certificazione e l’accreditamento, avendo come fine ultimo la conservazione della conoscenza per interpretare al meglio il futuro.
Gli ultimi due interventi della giornata hanno avuto come relatori Giovanni Solimine e Chiara Fagiolini dell’Università di Roma La Sapienza e Gianluca Setti dell’Università di Ferrara. ed entrambi hanno riguardato la bibliometria.
Solimine e Fagiolini hanno sottolineato come le biblioteche siano fondamentali e di aiuto per valutare la bibliometria e come esse debbano essere poste al centro del supporto alla ricerca; Setti ha parlato dei vari sistemi di misurazione della bibliometria e di come essa può interagire sugli articoli di rivisite internazionali e non, sull’impact factor e quindi nel mondo della ricerca.
I vari argomenti toccati sfociano tutti nel mio quesito da bibliotecaria, che è lo spirito con cui ho seguito questo convegno: un giovane che si affaccia a questa professione si dirigerà verso il lavoro del librarian o verso quello del digital librarian? A mio avviso è importante che il bibliotecario esca dalla coltre di libri nella quale spesso è sommerso e che arricchisca la propria formazione. Per fare questo sarà necessaria la collaborazione con altre figure professionali del mondo della conoscenza e del digitale che lo faranno evolvere verso le nuove prospettive e possibilità offerte dalla tecnologia.