Intervista a Tommaso Giordano

D. La prima domanda che vorrei porti è centrata nella presente società in cui viviamo e l’impatto sulle biblioteche. Il 13 ottobre abbiamo avuto a Firenze un’interessante discussione su IFLA Trends report, che individua cinque tendenze che stano cambiando le biblioteche (http://iflatrendreport.pbworks.com/w/page/86826307/IFLA%20TREND%20Report%202014). Su alcuni di questi trend tu ti sei impegnato da anni vorrei chiederti un breve commento.

Gli esercizi di questo genere hanno soprattutto lo scopo di aprire una discussione, il che implica un approccio necessariamente critico. Detto questo, a me pare che le cinque tendenze evidenziate dall’IFLA si proiettano in una dimensione globale, partendo da un punto di vista sostanzialmente occidentalocentrico. Si tratta di trend generali basati su elementi per lo più quantitativi che non tengono conto delle diverse realtà locali e non riescono a controllare le innumerevoli variabili che intervengono in sviluppi così complessi. Raramente i processi di innovazione avvengono in modo lineare ed omogeneo, più spesso registrano sfasature e ‘deviazioni’ dovute alle differenti situazioni economiche, politiche e culturali. Ad esempio l’impatto delle IT sulle biblioteche pubbliche sarà diverso a secondo del ruolo che esse rivestono nei paesi sono dove concepite come strumento di democrazia, dalla Cina e altri paesi dove la democrazia è carente. Questi trend sono mossi da potenti interessi , in un gioco dove –ahimè! – gli attori determinanti non sono certo le biblioteche. Queste possono influenzare in qualche modo i processi in corso, a seconda del loro posizionamento nelle comunità in cui operano, delle strutture e risorse di cui possono disporre e della loro capacità di fare sistema con gli altri settori del mondo dell’educazione, della cultura e della ricerca.

D. Quali sono le priorità su cui i bibliotecari in Italia devono impegnarsi di più?

Direi che i bibliotecari italiani sembrano abbastanza consapevoli delle sfide in atto. Non mancano idee e iniziative, il problema è che tutto questo attivismo non riesce a coagularsi in linee strategiche complessive, anche perché oggi mancano punti di riferimento e sensibilità a livello politico; e poi, non c’è abbastanza convinzione da parte degli operatori della necessità di sviluppare alleanze al di là del perimetro delle biblioteche.

D. Vuoi dire che la politica è disattenta?

Sebbene, a parole, nessun movimento politico (ed eccezione di chi ha maldestramente affermato che ”con la cultura non mangia”) mette in questione in linea di principio il valore della conoscenza, d’altra parte non mi sembra che vengano messi in atto provvedimenti o iniziative politiche coerenti con tale principio. Gli investimenti nel campo della cultura, dell’educazione e della ricerca sono molto diminuiti negli ultimi dieci anni e anche le infrastrutture tecnologiche del Paese lasciano moto a desiderare. Probabilmente un’azione congiunta del mondo della cultura, della scuola, dell’università e della ricerca potrebbe richiamare maggiore attenzione da parte della politica. Da sole le biblioteche contano poco, e l’alleanza con archivi e musei (anche se ci fosse) non sarebbe sufficiente. Bisogna uscire dal perimetro tradizionale e fare sistema con altri gli altri soggetti direttamente interessati (inclusi autori, editori, insegnanti, ricercatori e utenti).

D. Quali tendenze sociali potrebbero cogliere i bibliotecari impreparati?

Inanzitutto, va tenuta presente la carenza di strutture per la cooperazione. Nonostante il tema sia stato a lungo dibattuto nella professione, non si è riusciti a costruire (salvo in pochi casi locali) strutture di cooperazione affidabili. Soprattutto non si è sviluppata una vera cultura (e la pratica) della cooperazione. Potrei dare tanti esempi. Per restare nel mio campo specifico potrei citare l’università: l’Italia è forse l’unico paese dell’UE che non è riuscito a sviluppare strutture e pratiche di cooperazione veramente partecipative e affidabili nel campo dell’acquisizione e gestione delle risorse elettroniche; ritengo che in questo caso anche i bibliotecari abbiano la loro parte di responsabilità.

Per quanto riguarda le tendenze sociali il discorso è più lungo e complesso. Mi limito a menzionare i cambiamenti culturali e sociali indotti dall’immigrazione: la nostra è ormai una società multiculturale, ne dobbiamo prenderne atto e farci carico delle nuove esigenze. Ancora oggi, solo una minoranza di biblioteche ha avviato programmi in questo campo, a volte in un clima politico non propriamente favorevole e con mezzi (e anche competenze professionali ) non sempre adeguate. Questa sicuramente è una questione decisiva per il futuro ‘sociale’ delle biblioteche. Vorrei anche sottolineare il ruolo della biblioteca come luogo, punto di incontro e di integrazione sociale, il che implica una maggiore collaborazione con la scuola, i servizi sociali e il dialogo continuativo con le comunità locali. Insomma, penso che la biblioteca pubblica deve cercare un rapporto, diciamo, più diretto con i cittadini. Per esempio, negli Stati Uniti le biblioteche pubbliche hanno un programma di informazione per la cittadinanza sul Care Act, la legge per l’assistenza sanitaria voluta da Obama.

D. La professionalità dei bibliotecari italiani, secondo te, è cambiata in questi anni?

La mia impressione è che la professionalità dei bibliotecari è molto migliorata negli ultimi 20 anni, sia nelle biblioteche pubbliche che nelle biblioteche di ricerca, e non mi riferisco solo all’impiego delle tecnologie. Nonostante lo scarso ricambio generazionale (dovuto alla riduzione dei posti e delle nuove assunzioni) e i tagli di bilancio, i bibliotecari dimostrano una notevole capacità di iniziativa in settori emergenti, come per esempio l’Open Access. Tuttavia devo anche constatare chiusure e resistenze al cambiamento, sia a livello del management delle biblioteche, sia nell’insegnamento universitario delle materie biblioteconomiche. In questi anni ho potuto notare (non solo da parte dei bibliotecari) chiusure e forti resistenza alla cooperazione: prevale ancora la convinzione “ognuno per sé e dio per tutti”, che nel mondo di oggi è assolutamente perdente. Per prepararsi al futuro è necessario superare individualismi e pregiudizi e collaborare lealmente.

D. In questa fase della tua vita sei circondato dall’affetto di tanti colleghi che ti salutano per la conclusione di una lunga fase della tua carriera. L’ultima domanda che vorrei porti è centrata sul tuo impegno per le biblioteche in tanti anni di lavoro a livello nazionale ed internazionale. Qual è il progetto/servizio nazionale/internazionale che tu hai contribuito a costruire e che mantiene valore? Ce ne sono molti e per questo ti chiedo di indicarne solo quello di maggiore impatto o a cui ti senti più legato.

In 43 anni di servizio ho avuto la ventura di partecipare a molti progetti, con alterne fortune. Permettimi di menzionarne almeno tre che hanno lasciato più traccia nella mia vita. Prima di tutto la Biblioteca dell’IUE che ho a lungo co-diretto e, poi, diretto: oggi è una istituzione molto apprezzata dai ricercatori dell’Istituto e, a livello internazionale, dai numerosi studiosi che la frequentano: sono davvero fiero di aver contribuito con l’équipe dell’IUE al suo sviluppo in tutti questi anni. Anche il periodo di Presidenza dell’AIB è stata una bella avventura sia dal punto di vista professionale che umano. Il progetto che mi ha appassionato di più e che ha stimolato la mia creatività professionale(giovanile) è senza dubbio SBN. Quello che poi si è verificato non corrisponde esattamente alle aspettative iniziali, ma indubbiamente questo programma ha rappresentato un notevole passo in avanti per le biblioteche italiane, ma questo è un altro discorso…

D. Restando sul piano nazionale, come vedi le prospettive di SBN? Quali sono i settori che meriterebbero maggiore attenzione, da parte dei bibliotecari?

Non sono abbastanza aggiornato sulle prospettive di SBN. A parte la tecnologia, che ovviamente andrebbe rinnovata, io credo che oggi , dopo 35 anni, il disegno di SBN vada profondamente rivisitato. Una rete nazionale può avere ancora senso a condizione che sappia rapportarsi meglio all’editoria e a tutto il mondo della produzione culturale, anche per promuovere la cultura italiana oltre i confini nazionali. Ma questi obbiettivi si possono raggiungere, non certo isolando, ma integrando SBN con le reti a livello globale. Poi, non dobbiamo dimenticare che un fondamentale compito delle biblioteche è la trasmissione del sapere alle generazioni future. Quindi maggiore attenzione andrebbe dedicata alla conservazione per l’accesso a lungo termine sia delle risorse digitali che delle collezioni a stampa. Queste ultime rappresentano un punto di forza e allo stesso tempo un onere per moltissime biblioteche italiane, ed è dunque necessario trovare a soluzioni solide e sostenibili con un approccio cooperativo (anche mediante SBN). Per quanto mi riguarda, credo che oggi conti molto più la capacità di previsione che l’esperienza del passato; penso sinceramente che disegnare il futuro sia una responsabilità delle nuove generazioni, a noi più vecchi il compito di riporre in loro fiducia e sostenerle nella loro difficile missione.