Nell’autunno caldo del Mese del Libro, fra le molte iniziative proposte in provincia di Pisa, alla Biblioteca Gronchi di Pontedera, capofila della rete provinciale Bibliolandia, si è svolta la presentazione del saggio “Bibliotecario, il mestiere più bello del mondo” di Maria Stella Rasetti, direttrice della Biblioteca San Giorgio di Pistoia. L’evento, organizzato da AIB Toscana, si è tenuto nell’auditorium della biblioteca, che è stata inaugurata nell’aprile scorso presso l’ex Dente Piaggio, nell’ambito di un progetto di riqualificazione urbanistica che ha trasformato i luoghi di lavoro della fabbrica, legati alla memoria storica della città, in un polo culturale che la vede accanto alla sede del Museo Piaggio.
Introdotto da Roberto Cerri e moderato da Sandra Di Majo, l’incontro ha generato un dibattito interessante su alcune delle questioni affrontate nel libro, oggi più che mai attuali nel panorama della gestione delle biblioteche.
Vivo interesse ha suscitato il tema della manutenzione di biblioteche, per la costruzione delle quali, negli ultimi anni, alcune amministrazioni toscane hanno investito considerevoli somme di denaro pubblico.
Capita spesso, infatti, che dopo l’iniziale entusiasmo per l’inaugurazione di nuove biblioteche ci sia un progressivo disinteresse delle amministrazioni per tutto ciò che riguarda la gestione quotidiana sul lungo periodo, basti pensare all’usura degli arredi di una biblioteca.
Uno dei punti centrali del dibattito ha riguardato la funzione del bibliotecario ai giorni nostri: se una volta la catalogazione costituiva il fulcro dell’attività del bibliotecario, oggi tale assunto deve essere riconsiderato.
L’autrice evidenzia come sia fondamentale rendere centrale l’utente e le sue necessità. Il bibliotecario è un “mestiere di cura”, una cura rivolta non solo agli aspetti catalografici, ma soprattutto ai destinatari dei servizi forniti dalle biblioteche.
Da qui è nata la discussione sul dualismo back-office/front-office e su come spesso l’attività di prima accoglienza sia a torto ritenuta meno valorizzante dal punto di vista professionale. Non a caso questa è un’attività solitamente affidata ai lavoratori esternalizzati, che “si ritrovano spesso ad operare in condizioni meno felici dei loro colleghi più garantiti”1, ovvero il personale strutturato. Questo è solo uno degli elementi che contribuiscono a creare la contrapposizione tra personale strutturato e dipendenti delle cooperative che in genere hanno orari di lavoro disagevoli e paghe inferiori, come analizza Rasetti nel quarto capitolo “Lavoro pubblico, paga privata”.
Un’altra figura che si trova a operare all’interno delle biblioteche è quella del volontario. Il volontariato è un tema che divide l’opinione di chi lavora nel settore, come è emerso anche dal dibattito. Riguardo a questo la posizione di Rasetti è chiara: il volontario non può sostituire il bibliotecario, costituendo così un palliativo alla cronica carenza di personale, bensì può dare un prezioso apporto ad attività che coinvolgano la cittadinanza, avvicinandola alla biblioteca. Nella parte finale del dibattito sono emerse considerazioni relative ad altri temi: l’importanza per il bibliotecario di un selfbranding che promuova il riconoscimento del valore della sua professione; l’attenzione al contesto sociale nella scelta degli acquisti; la necessità di monitorare e regolare la presenza degli studenti universitari per dare spazio a tutte le tipologie di utenti di una comunità.
A nostro parere uno dei maggiori punti di forza di questo saggio è la chiarezza e l’immediatezza con cui vengono affrontate alcune delle “verità scomode” del mondo delle biblioteche, dal problema del lavoro precario al ruolo del volontariato.
Pur prendendo una posizione esplicita, condivisibile o meno, l’autrice fotografa la realtà oggettivamente e senza mistificazioni, mettendo nero su bianco un malessere diffuso, ma di cui forse non si parla abbastanza. Un altro aspetto apprezzabile è il fatto che Rasetti non si limita a un’analisi dello status quo, ma propone delle vie alternative alle ormai logore consuetudini in uso.
Per migliorare questa situazione è auspicabile cominciare da una rinnovata consapevolezza del mestiere di bibliotecario e del suo valore sociale e culturale. Ciò si può realizzare se una “squadra” di bibliotecari è motivata e coopera in un’ottica di progettualità per rendere la biblioteca un luogo di incontro e di inclusione, così lavorare sarà come “partecipare alla costruzione di una cattedrale”