Vedianche
- Notiziario della Sezione Ligure dell'Associazione Italiana
Biblioteche
Numero 2 Vol. 23 Anno 2013 ISSN 2281-0617
Accesso aperto in Italia: tra sogno e realtà
Antonella
De Robbio
Uno sguardo retrospettivo e la necessità di una norma
A distanza di nove anni dalla Dichiarazione di Messina [1]
formulata per promuovere l’adesione delle
università italiane alla ”Dichiarazione di Berlino per
l’accesso aperto alla letteratura scientifica”
[2], l’Italia si
è finalmente dotata di una “Legge OA”
sull’accesso aperto alla ricerca. La Legge 7 ottobre 2013, n.
112 [3] - di conversione del
Decreto Legge 9 agosto 2013 n. 91 “Disposizioni urgenti per
la tutela, la valorizzazione e il rilancio dei beni e delle
attività culturali e del turismo” - che introduce
l'open access come percorso "obbligato" nelle ricerche finanziate con
fondi pubblici, è ormai una realtà e
l’impatto in termini organizzativi che deriva dalla sua
applicazione avrà ripercussioni di una certa rilevanza negli
ambienti bibliotecari. Sebbene sia arduo definire
“legge” il disposto normativo in questione, si
tratta comunque di una novità piuttosto rilevante da
accogliere con favore, sia dal punto di vista formale sia da quello
organizzativo.
Nel corso di questo decennio la comunità scientifica
accademica da più parti aveva in più modi
riconosciuto l’importanza dell’accesso pieno e
aperto alle informazioni e ai dati: tramite l’organizzazione
di una serie di iniziative che si sono collocate a vario livello entro
le istituzioni e attraverso l’attuazione di
attività concrete che hanno preso corpo entro gruppi di
lavoro nazionali e locali. Tali attività in particolare
hanno prodotto un background tecnico di archivi aperti istituzionali
(institutional repository IR) [4]
ben consolidati entro un’infrastruttura organizzativa che
poggia sulle solide basi dell’interoperabilità del
protocollo OAI-PMH. A corredo in questi anni il gruppo Open Access
della CRUI [5] ha elaborato ha
elaborato anche tutta quella documentazione - raccomandazioni, linee
guide, regolamenti, politiche e piani di sviluppo - indispensabile ad
una corretta condivisione di buone prassi al fine di ottimizzare tempi,
risorse e processi, generando tutto quel know-how utile a creare un
fervido movimento italiano in connessione con l’Europa.
A questo punto c’era bisogno di una norma che una volta per
tutte sancisse – entro un quadro normativo – la
necessità di rendere disponibili in accesso aperto i
risultati delle ricerche finanziate con fondi pubblici.
Punti di forza e punti di
debolezza della norma
In Italia la clausola è collocata entro un quadro normativo
che si riferisce ai beni culturali. Il disposto infatti è
collocato entro l’art. 4 del decreto
“valore-cultura” che è rubricato come
“Disposizioni
urgenti per favorire lo sviluppo delle biblioteche e degli archivi e
per la promozione della recitazione e della lettura”,
come se l’accesso aperto possa favorire
l’accrescimento delle biblioteche piuttosto che della
ricerca. Semmai saranno le biblioteche che attraverso gli strumenti e
le vie dell’accesso aperto possono favorire lo sviluppo della
ricerca.
Articolo 4, commi 2, 3 e
4 (testo coordinato) legge 112/2013
«2. I soggetti pubblici preposti all’erogazione o
alla gestione dei finanziamenti della ricerca scientifica adottano,
nella loro autonomia, le misure necessarie per la promozione
dell’accesso aperto ai risultati della ricerca finanziata per
una quota pari o superiore al 50 per cento con fondi pubblici, quando
documentati in articoli pubblicati su periodici a carattere scientifico
che abbiano almeno due uscite annue. I predetti articoli devono
includere una scheda di progetto in cui siano menzionati tutti i
soggetti che hanno concorso alla realizzazione degli stessi.
L’accesso aperto si realizza:
a) tramite la pubblicazione da parte dell’editore, al momento
della prima pubblicazione, in modo tale che l’articolo sia
accessibile a titolo gratuito dal luogo e nel momento scelti
individualmente;
b) tramite la ripubblicazione senza fini di lucro in archivi
elettronici istituzionali o disciplinari, secondo le stesse
modalità, entro diciotto mesi dalla prima pubblicazione per
le pubblicazioni delle aree disciplinari scientifico-tecnico-mediche e
ventiquattro mesi per le aree disciplinari umanistiche e delle scienze
sociali.
2-bis. Le previsioni del comma 2 non si applicano quando i diritti sui
risultati delle attività di ricerca, sviluppo e innovazione
godono di protezione ai sensi del codice di cui al decreto legislativo
10 febbraio 2005, n. 30;
3. Al fine di ottimizzare le risorse disponibili e di facilitare il
reperimento e l’uso dell’informazione culturale e
scientifica, il Ministero dei beni e delle attività
culturali e del turismo e il Ministero dell’istruzione,
dell’università e della ricerca adottano strategie
coordinate per l’unificazione delle banche dati
rispettivamente gestite, quali quelle riguardanti l’anagrafe
nazionale della ricerca, il deposito legale dei documenti digitali e la
documentazione bibliografica
4. Dall'attuazione delle disposizioni contenute nel presente articolo
non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza
pubblica. Le pubbliche amministrazioni interessate provvedono con le
risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione
vigente»
Certo sarebbe stato opportuno un richiamo alla legge sul diritto
d’autore, norma di rango molto forte in Europa e anche in
Italia, collocata in alto entro la gerarchia delle fonti normative.
Meglio sarebbe stato prevedere una specifica eccezione inserita nel
capitolo V della legge italiana sul diritto d’autore, che si
riferisce alle eccezioni, formulazioni obsolete che attualmente
lasciano poco spazio alla libera ricerca e didattica.
Inoltre una norma sull’accesso aperto alla ricerca avrebbe
dovuto essere incardinata entro una legge emanata dal ministero
competente per la ricerca, il MIUR, Ministero
dell’Università e della Ricerca e non collocata in
un articolo – in modo piuttosto casuale – che
riguarda i beni museali. Se poi si considera che i commi che riguardano
l’OA sono posti in seguito ad un primo comma che riguarda la
lettura nelle biblioteche pubbliche delle opere letterarie, questo la
dice lunga sulla confusione concettuale di chi ha formulato
l’intero articolo: lettura nelle biblioteche pubbliche in
parallelo con la possibilità di una “lettura
pubblica” di articoli scientifici. Chi volesse andare a
vedere gli emendamenti al Senato si accorgerebbe con sgomento come
l’idea di accesso aperto sia – in quella sede
– totalmente stravolta nel suo significato più
profondo e come in certi casi si siano approvati emendamenti volti a
cambiare il significato di termini tecnici che avevano un loro
specifico significato semantico a favore di terminologie sui generis
che comporteranno non poche difficoltà in termini di
applicazioni pratiche [6].
In particolare le critiche sono sorte in riferimento all'allungamento
posto al periodo di embargo che nel testo normativo è
fissato in 18 mesi per le pubblicazioni delle aree
scientifico-tecnico-mediche e 24 mesi per le aree umanistiche e delle
scienze sociali, un periodo molto distante dai 6/12 mesi richiesti
dalle raccomandazioni europee del 12 luglio 2012 [7].
L’embargo è un periodo di tempo –
stabilito dalle politiche di ciascun editore e per ciascuna rivista -
durante il quale il lavoro depositato in un respository istituzionale
risulta secretato ed accessibile solo per la parte dei metadati.
Mantenere un embargo più lungo rispetto ad altri Paesi
comporterebbe un tasso di citazioni più basso per le
pubblicazioni degli autori italiani, una restrizione che non gioverebbe
di certo, in termini di impatto, alla ricerca del nostro Paese,
soprattutto in vista dei recenti e futuri esercizi della ricerca in
Italia.
Un altro punto debole sta nella mancanza di riservare un finanziamento
adeguato, criticità che denota la mancanza di una
volontà politica che davvero promuova e attui
l’accesso aperto. La norma infatti dispone che non ci debbano
essere nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
Ma come ci dice Roberto Caso, giurista a Trento “il confine della formalizzazione
legislativa del principio è oramai varcato ed è
possibile solo muoversi oltre: applicando il dettato della legge”
anche se la formulazione finale non è la migliore possibile
e quindi anche la conseguente applicazione pratica potrebbe comportare
dubbi, incertezze, ambiguità in quanto il disposto
“costituisce
un’applicazione molto parziale della politica europea in
materia di Open Access e mischia elementi (non i migliori) presi dai
vari modelli legislativi di riferimento” [8].
Il confronto con la norma
tedesca
In termini di confronto con la parallela norma tedesca, va innanzi
tutto osservata la semplice linearità del disposto normativo
tedesco – rispetto alla contorta formulazione italiana - il
quale, come sottolinea Maria Chiara Pievatolo è volto alla
piena tutela degli autori contro i soprusi degli oligopoli. “Non obbliga all'OA, ma libera
gli autori, usando sottilmente il diritto, originario, dell'autore
contro quello, derivato, dell'editore. Visto che la retorica dei
sostenitori del copyright si fonda sempre sui poveri autori e mai sui
ricchi editori, il legislatore tedesco spunta sottilmente quest'arma:
Der Teufel steckt im Detail :-)” [9].
L’autore di un contributo scientifico che ha avuto origine
nell’ambito di un’attività di ricerca e
insegnamento finanziata almeno per metà da fondi pubblici ed
è pubblicato in una collezione che esce periodicamente
almeno due volte l’anno ha il diritto - anche se ha concesso
all’editore o al curatore un diritto d’uso
esclusivo – di rendere pubblicamente accessibile, dopo la
scadenza di dodici mesi dalla prima pubblicazione, il contributo nella
versione del manoscritto accettato, fin tanto che non serva a uno scopo
commerciale. La fonte della prima pubblicazione deve essere indicata.
Un accordo divergente a detrimento dell’autore è
senza effetto.
In effetti la formulazione tedesca racchiude due nuclei ben congegnati
tra loro:
- responsabilizza gli autori che a questo punto - liberati dai legacci
di contratti editoriali che li obbligano a cessioni dei diritti per i
soliti noti motivi - hanno il diritto di rendere pubblicamente
accessibili i loro lavori ... se non lo fanno non possono dire che
è colpa degli editori
- obbliga le istituzioni a dotarsi di un regolamento, considerato che
comunque un ateneo o un’istituzione di ricerca deve avere uno
strumento regolamentare in materia e in tale direzione potrebbe usare
mandati anche forti con i propri afferenti, non solo suggerendo o
promuovendo ma anche citando la norma governativa ...
Oltre all’embargo più breve nella norma tedesca,
c’è anche l’affermazione esplicita della
nullità dei patti contrari, che rafforza il diritto
dell’autore e questo non è un dettaglio di poco
conto considerata la forte impronta europea del diritto morale entro il
diritto d’autore.
Dal punto di vista del campo di applicazione entrambe le norme si
riferiscono ai soli articoli pubblicati su periodici a carattere
scientifico (non divulgativi) “che abbiano almeno due uscite
annue”. Le monografie restano pertanto escluse, per ora,
dalla sfera dell’Open Access, ma questa scelta può
avere delle valide ragioni riconducibili a vari fattori, tra i quali le
stesse finalità didattiche e non scientifiche
dell’opera, o il fatto che alcune monografie generano
profitti per gli autori o ancora il fatto che sussistono
difformità anche sensibili nei regolamenti per le
pubblicazioni scientifiche nei vari atenei che finanziano –
tramite i dipartimenti – monografie dei loro afferenti.
Cosa dovremo fare da ora
in avanti
Raggiungere questo risultato non è stato facile.
È stata una battaglia durissima, decine di salti ad ostacolo
tra emendamenti posti da ogni schieramento politico - in sede di
dibattito parlamentare al Senato - che alla fine hanno comportato un
testo che è stato molto difficile poter raddrizzare. Quasi
impossibile cercare di portare a casa un risultato migliore come invece
ha fatto la Germania dove la clausola OA sta dentro una legge emanata
dal ministero della ricerca. Ma il risultato va accolto positivamente e
deve essere ricondotto e riadattato entro un contesto tutto italiano
che si è evoluto seppur lentamente, in modo costante. Anche
perché per fortuna, all’ultimo momento –
alla Camera in fase di conversione del decreto - Ilaria Capua e Stefano
Quintarelli hanno sottoscritto una richiesta di modifica, accettata
come impegno del Governo [10], di
riallineare la neonata norma italiana al periodo di embargo suggerito
dalle Raccomandazioni europee.
Il legislatore italiano, come quello tedesco, lascia comunque libera
scelta di usare una delle due vie previste dall’Open Access,
ma mentre nel disposto tedesco usa un generico “rendere
pubblicamente accessibile”, il legislatore italiano indica
espressamente le due vie (aurea e verde) come realizzazioni
dell’accesso aperto:
- tramite la pubblicazione da parte dell’editore, al momento
della prima pubblicazione, in modo tale che l’articolo sia
accessibile a titolo gratuito dal luogo e nel momento scelti
individualmente;
- tramite la ripubblicazione senza fini di lucro in archivi elettronici
istituzionali o disciplinari, secondo le stesse modalità
Alla fine, una norma - anche se non perfetta - serve come richiamo a
chi non vuol sentire, è una chiara risposta a chi non vuole
porsi domande sul perché - a seguito di un finanziamento
pubblico - i risultati della sua ricerca non possano essere aperti e
disponibili ad essere testati da altri gruppi di ricerca, in modo
indipendente.
In particolare ci sarà da lavorare in modo trasparente e
coordinato a livello nazionale alla redazione di policy e regolamenti
entro le istituzioni che devono essere emanati al più
presto. Sarà necessario come primo step prevedere degli
obblighi di deposito di tutti i risultati delle ricerche prodotti dai
Programmi di Ricerca Universitari di Interesse Nazionale (PRIN) [11] e alle ricerche svolte grazie al
Fondo per gli Investimenti della Ricerca di Base (FIRB) [12] dotando gli archivi aperti
dell’apposito modulo per il caricamento dei paper entro i
repository. Un altro aspetto fondamentale è quello di
nominare un referente tecnico per l’Open Access in ogni
istituzione di modo che vi sia un collegamento pratico (e non solo di
facciata) al network nazionale che deve avere una struttura agile e
snella. La trasparenza nelle licenze deve essere posta come una
priorità, ma deve esserci una consapevolezza concreta ed
efficace di quello che comporta l’adozione di una licenza
piuttosto che un’altra. Un tema caldo, strettamente connesso,
è quello dei dati aperti alla ricerca, proprio
perché nel contesto dell’Open Access il libero
accesso ai dati primari prodotti nell’ambito della ricerca
scientifica e finanziati da fondi pubblici è innanzitutto un
problema etico.
NOTE
[1] sottoscritta nel novembre 2004
da un nucleo di atenei che nel corso di questo decennio si è
allargato fino a comprendere 71 atenei italiani e circa una ventina di
centri di ricerca italiani
[2] Una versione italiana della
Dichiarazione di Berlino per l’accesso aperto alla
letteratura scientifica si trova sul sito del Max-Planck Institute
http://openaccess.mpg.de/67682/BerlinDeclaration_it.pdf
[3] Testo del decreto-legge 8 agosto
2013, n. 91 (in Gazzetta Ufficiale - serie generale - n. 186 del 9
agosto 2013), coordinato con la legge di conversione 7 ottobre 2013, n.
112 (in questa stessa Gazzetta Ufficiale alla pag. 1), recante:
«Disposizioni urgenti per la tutela, la valorizzazione e il
rilancio dei beni e delle attivita' culturali e del
turismo.». (13A08109) (GU Serie Generale n.236 del 8-10-2013)
http://www.gazzettaufficiale.it/atto/serie_generale/caricaDettaglioAtto/originario?atto.dataPubblicazioneGazzetta=2013-10-08&atto.codiceRedazionale=13A08109&elenco30giorni=true
[4] Gli archivi aperti istituzionali
in Italia sono circa 90
[5] http://www.crui.it/HomePage.aspx?ref=894
[6] Ci si riferisce al termine
“unificazione” cambiato a seguito di un emendamento
votato dalla maggioranza. Al comma 3, sostituire le parole:
«la piena integrazione, interoperabilità e non
duplicazione» con le seguenti:
«l'unificazione».
[7] Antonella De Robbio. Lo spazio
aperto della conoscenza Il Bo 3 ottobre 2012 http://www.unipd.it/ilbo/content/lo-spazio-aperto-della-conoscenza
[8] Roberto Caso La legge italiana
sull'Open Access. Uno sguardo dall'interno. Il Bo 28 ottobre 2013 http://www.unipd.it/ilbo/content/la-legge-italiana-sullopen-access-uno-sguardo-dallinterno
[9] L’accesso aperto
è legge - in Germania di Maria Chiara Pievatolo
http://minimacademica.wordpress.com/2013/09/20/laccesso-aperto-e-legge-in-germania/
[10] Qui il testo della mozione
Capua/Quintarelli
http://banchedati.camera.it/sindacatoispettivo_17/showXhtml.asp?highLight=0&idAtto=7498&stile=7
[11] I PRIN hanno sostituito la
forma di finanziamento della Ricerca Universitaria, nota come MURST 40%
[12] istituito dalla legge
finanziaria 2001 (art. 104) con l'obiettivo di rendere disponibile uno
strumento di sostegno finanziario specificamente destinato alla ricerca
di base