Vedianche
- Notiziario della Sezione Ligure dell'Associazione Italiana
Biblioteche
Numero 2 Vol. 23 Anno 2013 ISSN 2281-0617
Il libro errante del popolo errante.
Produzione, diaspora e persecuzione dei testi ebraici (Genova, Palazzo
Ducale, 17-20 ottobre 2013). Intervista alla curatrice della mostra,
Leandra Scappaticci
Emanuela
Ferro
Ho avuto modo di conoscere
Leandra Scappaticci in occasione della mostra a cui è
dedicata questa intervista e sono lieta di sintetizzare qui non solo le
origini e l'evoluzione di questo specifico progetto, ma anche il
percorso professionale che l'ha condotta alla Biblioteca Universitaria
di Genova.
Inizierei con una
sintetica scheda di presentazione, che ci illustri in breve il tuo
curriculum e in che modo sei approdata alla BUG.
L'arrivo alla Biblioteca Universitaria di Genova coincide con la mia
assunzione, nel gennaio 2012, come funzionario bibliotecario del
Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo.
Sono dottore di ricerca in Paleografia greca e latina presso
l'Università "La Sapienza" di Roma, laureata in Musicologia
all'Università degli Studi di Pavia-Cremona e diplomata
presso Scuola Vaticana di Biblioteconomia. Nel corso degli anni ho
intrapreso un percorso scientifico attraverso contratti di ricerca,
borse di studio, nonché incarichi all'estero a Parigi e a
Lisbona. Tuttora svolgo attività di didattica e di ricerca
in Italia e all'estero: sono professore a contratto presso
l'Università di Genova, titolare della cattedra di
Paleografia latina presso la Scuola dell'Archivio di Stato di Genova e
professore invitato presso la Universidade Nova de Lisboa. Alla BUG
lavoro nel Settore documenti antichi, rari e di pregio e mi occupo in
particolar modo dello studio dei manoscritti e dei frammenti in
pergamena reimpiegati spesso nelle legature. Sono inoltre impegnata
nella catalogazione di libri a stampa antichi e di archivi di interesse
musicale.
Come sono nate l'idea
della mostra e la collaborazione con Palazzo Ducale?
La collaborazione con Palazzo Ducale risale all'anno scorso, quando,
durante la rassegna "L'altra metà del libro", avevo proposto
un'iniziativa sul Libro dei condannati a morte, ovvero Manuale d'uso dei confessori e
dei confratelli della Compagnia della Misericordia, un
manoscritto della BUG vergato nel 1492 e preziosa testimonianza della
lingua volgare peculiare all'ambito genovese. L'esposizione del codice
era stata illustrata da una mia conversazione paleografica, per la
quale mi ero avvalsa dell'aiuto di due amici, la cantante Roberta
Alloisio e l'attore Alberto Bergamini, che avevano intrattenuto il
pubblico con l'esecuzione musicale di testi in versi e con la lettura
di brani significativi del manoscritto.
Quest'anno ho proposto un nuovo progetto, che prendesse in
considerazione i manoscritti ebraici della Liguria, con una mostra e un
incontro, coinvolgendo Mauro Perani, docente di Ebraico
dell'Università di Bologna e recente scopritore del
più antico rotolo della Torah finora noto e reperito a
Bologna. L'idea prendeva le mosse da una mia scoperta, avvenuta nel
2000, su alcuni frammenti reperiti presso la Biblioteca del Seminario
Vescovile di Savona, che risultavano appartenere a una versione del Talmud Yerushalmi
attribuibile al XIII secolo.
Frammenti del Talmud Yerushalmi
In seguito a tale ritrovamento sono stata
coinvolta nel progetto "Frammenti Ebraici in Italia" diretto appunto da
Mauro Perani. Nell'ottica di una mostra complessiva, ho così
analizzato le testimonianze manoscritte presenti nella città
di Genova: la Bibbia in sette volumi della Biblioteca Berio,vergata in
scrittura franco-tedesca e impreziosita da numerose micrografie e
decorazioni masoretiche, e la Bibbia della Biblioteca Universitaria,
vergata in carattere sefardita nell'anno 1481, di cui la letteratura
scientifica aveva da tempo individuato la Bibbia gemella, oggi alla
Biblioteca Comunale di Imola. Mi pareva interessante riunire insieme,
accanto ai frammenti savonesi, questi codici, e in particolare le
Bibbie gemelle che, per la prima volta, potevano essere accostate
mettendo in evidenza gli elementi assimilabili, se non addirittura
identici.
Bibl.
Univ. di Genova,
Bibbia, c. 8
Bibl. Civica di Imola, Bibbia,
cc. 166v-167r
È stata inoltre valorizzata la storia delle
legature dei due libri, di ascendenza ispano-moresca a disegni mudejar, entrambe
realizzate a Toledo nella medesima bottega e nello stesso momento in
cui furono confezionati i manoscritti, intorno alla metà del
Quattrocento.
Il prof. Perani, nella
conferenza in occasione dell'inaugurazione ha accennato alle vicende
delle due Bibbie gemelle.
Le storie dei due libri ‘itineranti' sono avvincenti:
seguirono, con i possessori, le rotte di viaggio degli esuli espulsi
dalla Spagna, approdando a Genova e Napoli, le città
raggiunte più facilmente dalle navi che salpavano dai porti
spagnoli.
La Bibbia della BUG fu commissionata da Baruk, figlio del rabbino Yosef
Albo e vergata a Toledo da un abile scriba durante il mese di Kislew dell'anno
5241, equivalente al novembre 1481. Lo stesso Baruk fu poi responsabile
delle successive sorti della Bibbia che, custodita gelosamente da lui,
fu portata a Genova per mare nel corso dell'anno 1492, in seguito
all'espulsione degli Ebrei dalla Spagna.
Più complessa risulta invece la storia della Bibbia di
Imola, che nell'anno 1493 si trovava a Napoli, portata e poi venduta da
un esule in difficoltà economiche, che era immigrato nella
nostra penisola, sempre in seguito al provvedimento dei re cattolici
Ferdinando I e Isabella di Castiglia nel 1492. Da due annotazioni
dell'anno 1493 siamo a conoscenza di almeno due passaggi di vendita
della Bibbia: Avraham ben Shelomoh Galior la acquista il 12 gennaio al
prezzo di 330 carlini da Mordekai Kohen ben Shemuel Koen, mentre
Mordekai Refael, figlio di Binyamin dell'Aquila, la compera il 18
dicembre da Petahyah da Sulmona per 31 ducati carlini di Napoli. Alcuni
decenni dopo la Bibbia toledana risulta in possesso della famiglia
ebraica dei Da Fano di Ferrara, poi trasferitisi a Lugo per due secoli,
per finire nel Settecento in possesso della Biblioteca Comunale di
Imola.
Quale è stato
il filo conduttore della mostra?
La mostra ha voluto prospettare ai visitatori un quadro su un libro
insolito: il manoscritto ebraico come testimonianza eccezionale
all'interno della produzione scritta. La scarsità dei codici
giunti fino a noi, oltre alla sistematica distruzione del patrimonio
librario degli Ebrei perpetrata dalla Chiesa nel corso dei secoli,
hanno ulteriormente giustificato l'esposizione di tale patrimonio. A
partire dal Medioevo e in seguito, con rinnovato vigore nel periodo
della Controriforma, la politica ecclesiastica e papale contro gli
Ebrei si concretizzò nell'emanazione di diverse bolle, che
ordinavano il sequestro e il rogo nelle pubbliche piazze dei libri
ebraici. In particolare la lotta della Chiesa si concentrò
contro il Talmud,
una vera enciclopedia del giure religioso ebraico che, secondo
l'Inquisizione, avrebbe contenuto parti blasfeme contro il
Cristianesimo. Il primo provvedimento fu la bolla emanata da papa
Giulio III nel 1553, che ordinava il sequestro di tutti gli esemplari
del Talmud,
cominciando da Roma ed estendendo a tutti i principi cristiani l'invito
a seguirne l'esempio. Tutti i libri del Talmud confiscati
agli Ebrei romani furono così bruciati il giorno del
capodanno ebraico nello stesso anno 1553 a Roma in Campo dei Fiori. A
questo rogo ne seguirono poi altri, appiccati in diverse
città, dalla Romagna alla Lombardia e in altre regioni.
Tutto ciò ci fa capire come la sopravvivenza o la scoperta
di un nuovo manoscritto ebraico, o anche solo di suoi frammenti, sia di
grande importanza.